LETTERATURA ITALIANA
Giovanni Pascoli: Novembre (Canti di Castelvecchio, 1903)

METRO
6 quartine di novenari a rima alternata ABAB.

PARAFRASI
I gelsomini notturni aprono i loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il pensiero ai suoi morti.
Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro volo nelle ore della notte tra i viburni.

Da un po’ di tempo tutto si è acquietato: insieme alla notte è calato il silenzio, tranne che in una casa.
Nel nido i piccoli dormono sotto le ali della madre, così come le ciglia umane ricoprono gli occhi delle persone.

Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un profumo che  fa pensare all’odore di fragole rosse.
Mentre nella casa palpita ancora la vita e una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle fosse dei morti.

Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le cellette del suo alveare.
La costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro (e il tremolio della sua luce richiama alla mente l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini, intenti a pigolare).

Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé.
La luce accesa nella casa  sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne. (E’ chiara l’allusione agli sposi che si uniscono nell’oscurità).

Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali e il fiore cova nell’interno del suo calice un non so che di segreto che dà una nuova felicità. (Il poeta allude al germogliare di una nuova vita nel grembo della sposa, ora madre).

ANALISI
La poesia “Gelsomino notturno” fu composta da G. Pascoli, dopo lunga gestazione e tormentata vicenda di varianti, per le nozze dell’amico Raffaele Briganti e vi è adombrato il tema dell’unione dei due sposi e del conseguente germogliare di una nuova vita.
La lirica venne pubblicata in un opuscolo “per nozze” nel luglio 1901 e poi inclusa nei “Canti di Castelvecchio” (1903).
La “E” iniziale rappresenta la continuazione di un discorso già iniziato da Pascoli riguardante il concepimento, tema principale della poesia. I gelsomini notturni, comunemente chiamati “belle di notte”, si chiudono all’alba, per riaprirsi al tramonto, nel momento in cui il pensiero corre ai propri cari defunti: anche l’Ulisse di Dante, nel Purgatorio, ricorda i propri familiari alla sera, con la differenza che in questa poesia, Pascoli si riferisce ai parenti defunti. Le farfalle che appaiono in mezzo ai vigurni, o “palloni di neve”, perché fiori bianchi di forma sferica, possono essere interpretate come farfalle che volano al tramonto, o come gli stessi gelsomini notturni che, agitati dal vento, assomigliano a farfalle.
Il tema della casa e del nido, o del casolare come in altre poesie, ritorna in questa opera sotto forma di rifugio chiuso e sicuro che si identifica con la famiglia d’origine e che giustifica la paura del mondo esterno e la paura di formare una nuova famiglia all’esterno di quella in cui si è nati. E’ per questo motivo che più di altre poesie questa mette in evidenza l’incapacità o la paure del poeta di rendersi autonomo sentimentalmente e di amare. Il termina “la”, che viene ripetuto 16 volte nella poesia, evidenzia che il poeta preferisce guardar gli altri amarsi, piuttosto che provare l’amore e la passione sul suo corpo. In questo contesto, attraverso una metonimia, la casa “bisbiglia”, intendendo con ciò il fatto che i suoi abitanti, i due sposi, colloquiano prima di andare a dormire. Il profumo che esalano i calici di gelsomino è sostituito da quello delle fragole rosse, attraverso una metafora: anche gli uccelli che dormono sono sostituiti con la parola “nidi”, e allo stesso modo le palpebre, al posto delle quali viene usato il termine “ciglia”. La luce che splende nella sala si contrappone all’ombra delle fosse, su cui però cresce l’erba: tale immagine è simbolo del miracolo della vita che si perpetua e compenetra il mistero della morte. Nell’immagine che segue, attraverso un’altra metafora, l’ape tardiva emette il suo ronzio, quasi come se sussurrasse per non disturbare i due sposi. Ancora con un’altra metafora il cielo è paragonato all’aia ed è illuminato  dalla “Chioccetta”, con cui si intende la costellazione delle Pleiadi (sinestesia).  Chiudono la poesia una sineddoche, con cui gli sposi che portano il lume vengono ridotti al solo oggetto che fa luce, e un’ultima metafora, con cui Pascoli, attraverso “l’urna molle e segreta”, vuole intendere il calice del fiore o il grembo della sposa, da adesso futura madre.
 




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