Parte I - MAGGIO 1860 Fine della quotidiana recita del rosario, cui segue una colorita descrizione del
salone rococò di villa Salina. Il Principe Fabrizio Corbera di Salina scese in giardino
accompagnato dal cane alano Bendicò: vivace descrizione del giardino in uno stato di
degrado da cui esce tutto sommato un profumo piacevole, non certo come un mese prima,
quando venne trovato lì il cadavere di un giovane soldato.
Visita da Re Ferdinando di Borbone: sembra una patetica visita di cortesia, senza scopo alcuno.
Preoccupazione per il nipote Tancredi, principe di Falconeri, cui il re aveva affidato
la tutela al Principe (Don Fabrizio): egli simpatizzava per i garibaldini, ed era contrario
ad una repubblica.
Una mattina, infatti, si presentò al Principe dicendogli che voleva partire per Corleone,
probabilmente per unirsi a qualche banda di rivoluzionari.
Descrizione vivace e colorita delle stanze dell'Amministrazione e dei quadri raffiguranti
i feudi di casa Salina. Descrizioni queste ultime cui fa eco uno sfondo di inutilità,
"la ricchezza […] si era mutata in ornamento, in lusso, in piaceri".
Ad un certo puntò entrò il soprastante, Pietro Russo, il quale assicurò al Gattopardo
che, grazie alla "complicità" di alcuni suoi amici, nei giorni di Tumulto nei pressi
di villa Salina non si sarebbe udita neppure una schioppettata (benché egli approvasse
l'iniziativa garibaldina).
In quella stessa mattina del 13 maggio parlò di politica anche con Padre Pirrone, Gesuita
e suo compagno di osservazioni astronomiche e calcoli: egli non si sentiva sereno come
Don Fabrizio, perché prevedeva già che tutto questo trambusto avrebbe infine danneggiato
la Chiesa. All'ora di pranzo notò che Concetta era la più serena di tutti, mentre si
parlava di Tancredi, e capì che essa era innamorata di Tancredi.
Quel pomeriggio egli ricevette un preoccupato biglietto dal cognato Màlvica, nel quale
era citato lo sbarco dei Piemontesi a Marsala.
Parte II - AGOSTO 1860 La famiglia si era recata a Donnafugata per la villeggiatura estiva: il Principe
gradiva particolarmente questo luogo perché ne amava la casa, la gente e il senso di possesso feudale.
Flashback al 20 giugno circa: visita di un generale e del suo ufficiale di ordinanza,
un conte milanese sui diciannove anni, accompagnati da Tancredi (capitano) che aveva
una benda sull'occhio destro, ricordo di una ferita al sopracciglio buscata durante i
combattimenti di Palermo.
All'arrivo vennero accolti dalle maggiori personalità del paese, quindi si recarono nella
Chiesa Madre per assistere, come tradizione vuole, a un Te Deum.
Appena entrati, l'organista don Ciccio Tumeo iniziò a suonare "Amami Alfredo" (Verdi- Traviata;
vedi decadenza dell'organo, perdita di significati). Quella sera vennero invitati tutti
ad un ricevimento a casa Salina, curata durante l'assenza del Principe dall'onestissimo Don Onofrio.
Quel pomeriggio Padre Pirrone portò al Gattopardo la notizia che Concetta era innamorata di
Tancredi e si sentiva ricambiata, ma la cena di quella sera avrebbe modificato la situazione.
Il sindaco don Calogero Sedàra si presentò in frack (di tessuto pregevole ma taglio maldestro):
era il sintomo del suo arricchimento (già citato da don Onofrio), del trionfo della sua
logica, ossia della logica borghese e spietatamente capitalistica.
Poco dopo arrivò la figlia del sindaco, Angelica, che stupì tutti per la sua bellezza,
e di cui Tancredi si innamorò.
Dopo la festa, come a volte faceva, il Gattopardo si fermò sul balconcino dello spogliatoio
a contemplare la perenne ed irraggiungibile serenità delle stelle.
Il giorno seguente, sempre secondo un'antica tradizione, la famiglia Salina si recò a
far visita al Monastero di Santo Spirito per pregare sulla tomba della beata Corbera,
antenata del Principe. A quel luogo potevano accedere, a parte le donne, solo il discendente
della santa e il re.
Tornato a palazzo, Don Fabrizio vide Tancredi, elegantemente vestito e con una cesta di
pesche portata da un servitore, dirigersi verso casa Sedàra.
Parte III - OTTOBRE 1860 Frequenti visite di Angelica dopo la partenza di Tancredi; un giorno una sua lettera
chiedeva allo zio, cui unicamente era rivolta, di richiedere in sua vece la mano di Angelica a don Calogero.
Giornata di caccia con l'organista, don Ciccio Tumeo: descrizione suggestiva della preparazione
del Principe e della campagna.
Ad un certo punto a Don Fabrizio vennero in mente delle perplessità riguardo al plebiscito
di annessione al Regno di Sardegna, avvenuto il 21 ottobre: i dati ufficiali parlavano
di 512 votanti e 512 "sì". Questo sembrò strano al Principe, in quanto non pochi erano
andati a chiedergli consiglio, e benché lui li avesse esortati a votare affermativamente,
non tutti erano stati convinti dalle sue parole. Il dubbio si risolse quando seppe che
don Ciccio aveva votato "no": il sindaco Sedàra aveva in modo disonesto modificato , o
meglio "strangolato" quel voto, così come era avvenuto in cento altri luoghi.
Come don Ciccio ribadì più tardi Don Fabrizio, don Calogero era un uomo ambizioso e
spregiudicato, astuto fino ad essere disonesto. L'organista rivelò peraltro che Angelica
era nipote di un certo Peppe Giunta, soprannominato Peppe 'Mmerda. Il prestigio di casa
Salina venne in ogni caso preservato perché l'ipotesi di un matrimonio tra una nipote di
questo tizio e il principe Falconeri venne mascherata dalla voglia di spettegolare e
malignare tipica dei siciliani.
Quel pomeriggio don Calogero si presentò a casa Salina sotto richiesta del Principe,
il quale gli parlò della proposta di Tancredi: il sindaco, che già aveva fondati dubbi,
non ne fu sorpreso.
Don Fabrizio parlò poi dalla nobiltà della famiglia Falconeri, i cui membri furono Pari
del Regno, Grandi di Spagna, Cavalieri di Santiago, dovendo però ricordare al suo interlocutore
che Tancredi non aveva dote. Don Calogero fece altrettanto, chiamando Angelica "baronessina
Sedàra del Biscotto" ed illustrando la sua ricca dote di terre e denaro. Tutto era andato
nel migliore dei modi.
Parte IV - NOVEMBRE 1860 Ammirazione reciproca delle personalità di Don Fabrizio e don Calogero, visita di
Angelica ormai fidanzata con Tancredi.
Una sera quest'ultimo arrivò a casa Salina mentre la pioggia imperversava, accompagnato
da quello che era il conte milanese di diciannove anni, Carlo Cavriaghi, e dal proprio
attendente, il lanciere Moroni. Ormai tutti e tre non erano più dei garibaldini, ma
degli ufficiali (cui era stato tolto un grado: Tancredi era diventato tenente) nell'esercito
regolare del Regno di Sardegna.
Corte (peraltro inutile) di Cavriaghi verso Concetta a mezzo delle poesie di Aleardo
Aleardi. "Peregrinazioni" sensuali di Tancredi e Angelica attraverso le parti sconosciute di palazzo Salina.
Arrivo del cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, uomo terrorizzato dalle storie
di violenze che si raccontano sulla Sicilia. Egli portò a Don Fabrizio la proposta di
diventare senatore, ma questi rifiutò, motivando la sua decisione con il carattere statico
e refrattario al cambiamento del popolo siciliano, o quanto meno, della sua generazione,
proponendo Sedàra in sua vece.
Parte V - FEBBRAIO 1861 Storia di Padre Pirrone, nato a S. Cono, piccolo paese non molto lontano da Palermo.
Il padre era soprastante di due feudi dell'Abbazia di S. Eleuterio e alla sua morte aveva
lasciato la famiglia in condizioni economiche relativamente buone. Lamentele dei paesani
sulla fiscalità del nuovo regime.
Il Gesuita era arrivato proprio in tempo per risolvere una spinosa questione familiare:
Angelina, la figlia di una delle sue sorelle, Sarina, era stata messa incinta da Santino,
il figlio di Turi, zio di Padre Pirrone e quindi fratello della "Buon'Anima" di suo padre,
Gaetano. La famiglia era stata divisa in questi due rami da una questione di proprietà di
un mandorleto, di cui Turi rivendicava la metà. Quindi questa situazione era causata da
un atto di disprezzo, che aveva messo nei guai Sarina e la figlia davanti al marito,
Vincenzino. Per risolvere la questione si dovette procedere in fretta al matrimonio,
dando in dote ad Angelina la famosa metà del mandorleto di Chibbaro, che sarebbe stata
risarcita dalla parte di eredità spettante a Padre Pirrone.
Parte VI - NOVEMBRE 1862 Ballo a palazzo Ponteleone. Quella sera il Principe era malinconico, così ad un
certo punto si chiuse nella biblioteca, dove poco dopo venne raggiunto da Angelica a
braccio di Tancredi che gli chiese di ballare. L'unica conversazione interessante fu
quella con il colonnello Pallavicino, il quale era riuscito a fermare Garibaldi.
E' da notare il fatto che il Principe ritrovò un po' di serenità nell'osservare il
quadro "La morte del Giusto" di Greuze: la morte è portatrice di serenità (concetto
peraltro in accordo con il pensiero di Giacomo Leopardi).
Al termine il Principe preferì tornare al palazzo a piedi, concludendo quella serata
di meditazioni sulla morte con l'interrogativo, rivolto a Venere, sul tempo che rimaneva
prima che potesse raggiungerla.
Parte VII - LUGLIO 1883 Descrizione accurata, suggestiva e struggente della fuga della facoltà di vivere
dal corpo di Don Fabrizio; facendo attenzione, anche in altri momenti della vita egli
poteva percepire questo moto: "e per lui, avvezzo a scrutare spazi esteriori illimitati,
a indagare vastissimi abissi interiori" quella sensazione "non era per nulla sgradevole:
era quella di un continuo, minutissimo sgretolamento della personalità congiunto però
al presagio vago del riedificarsi altrove di una individualità (grazie a Dio) meno cosciente
ma più larga; quei granellini di sabbia non andavano perduti, scomparivano sì ma si
accumulavano chissà dove per cementare una mole più duratura .".
Dopo il viaggio di ritorno da Palermo Don Fabrizio era svenuto e lo avevano portato
all'Albergo Trinacria, perché la villa era troppo lontana. Adesso "non udiva altro suono
che quello interiore della vita che erompeva via da lui".
Si rese conto di essere veramente l'ultimo dei Salina: tra i nipoti nessuno che gli
somigliasse, neanche Fabrizietto, il più giovane. Solo Concetta aveva la tempra e lo
spirito di una Salina.
Mentre pensava all'estinzione della vera dinastia Salina, del suo prestigio e degli
ideali che la animavano (onore, cortesia, ecc.), arrivò il prete. Dopo la confessione
si mise a fare "un bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall'immenso
mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d'oro dei momenti felici".
A un certo punto si accorse di non essere più sulla poltrona sul balcone, ma nel letto:
doveva aver avuto un'altra sincope. "Non era più un fiume che erompeva via da lui, ma un oceano,
tempestoso, irto di spume e di cavalloni sfrenati…"; fra i parenti vicini al letto "ad un
tratto si fece largo una giovane signora […]. Era lei, la creatura bramata da sempre che
veniva a prenderlo […]. Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo e così, pudica ma
pronta ad esser posseduta, gli apparve più bella di come mai l'avesse intravista negli
spazi stellari. Il fragore del mare si placò del tutto".
Parte VIII - MAGGIO 1910 In un pomeriggio il Vicario dell'Arcidiocesi era andato a ispezionare la cappella
di villa Salina, poiché il papa aveva ordinato l'ispezione di tutti gli oratori privati.
Il giorno seguente sarebbe andato di persona il nuovo cardinale di Palermo, e avrebbe
lasciato un suo legato a controllare l'autenticità delle reliquie. Le tre sorelle (Carolina,
Caterina e Concetta) erano fondamentalmente offese di queste ispezioni, tanto più che
la maggior parte delle reliquie dovette essere buttata.
Intanto sono morti Tancredi, la moglie del Principe Maria Stella (morta ancora prima di lui),
Padre Pirrone e Bendicò, il cui corpo impagliato nella camera di Concetta da 45 anni
era diventato "nido di ragnatele e di tarme". Un giorno Concetta diede ordine che la
povera salma del cane venisse buttata: "Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli
occhi di vetro la fissarono con l'umile rimprovero delle cose che si scartano, che si
vogliono annullare. […] Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida".
Commento.
La tecnica del narratore onnisciente si affianca alla "abitudine" di far conoscere al
lettore i fatti una volta accaduti (vedi gli avvenimenti di Palermo, raccontati alla
prima cena con Angelica, riflessioni del Principe sul cadavere trovato nel giardino,
le morti dei personaggi,…). Mettere il lettore davanti al fatto compiuto può dare un'impressione
in qualche modo oppressiva, dispotica e definitiva: non si può cambiare ciò che è già
avvenuto; e questo, inserito nella particolare conrnice del libro, che a breve descriverò,
favorisce l'accostamento di questo senso di impotenza e perentorietà alla morte, che
non ha bisogno di inviti, non ha bisogno di essere preparata o descritta. Arriva da
sola, senza preavviso, e ce la si trova davanti senza poter far nulla come il lettore
trova i fatti già svolti senza che sappia in che modo essi si siano evoluti.
Quando accennavo alla cornice del libro intendevo riferirmi ad un senso di morte e decadimento
che, in varia misura, pervade l'intero romanzo. Non di rado Tomasi di Lampedusa inserisce
descrizioni di ambienti o persone, riflessioni ed introspezioni; e non è un caso che
in questo riassunto abbia riportato almeno le parti del libro in cui si trovano le principali
e più suggestive descrizioni: nella maggior parte di esse si può cogliere, leggendo con attenzione,
un lento decadere delle condizioni del regno borbonico (vedi lo studio del re, con la
scrivania invasa dai documenti), un certo senso di morte, di agonia, di perdita dei valori
quali onore e prestigio. Come Tomasi di Lampedusa dice del Gattopardo (N.B. L'autore usa
questo termine sempre accompagnato da delle figure retoriche, quali la ricorrente metafora
della "zampaccia" o della natura gattopardesca), è come se i granellini di sabbia che
compongono la realtà in cui è vissuto Don Fabrizio andassero perdendosi, come se fosse
una clessidra rotta che si svuota.
Quindi sembra che il mondo siciliano in cui casa Salina ha sempre mantenuto il suo prestigio
sia destinato a finire, e sembra anche che questa conclusione sia raggiunta con la morte del Principe.
Quindi il lento sgocciolare del fluido vitale del Regno delle due Sicilie che si avverte
in sottofondo durante tutta la narrazione del libro sembra che si fermi con la morte del
Principe. Invece la vera conclusione si realizza con l'eliminazione del povero Bendicò
imbalsamato, ultimo simbolo di quello che fu il prestigio di casa Salina: "tutto trovò
pace in un mucchietto di polvere livida". Concetta, l'unica dei discendenti del Principe
ad avere il carattere di una vera Salina, gettando via Bendicò è come se rinunciasse alla
propria nobiltà, per vivere un'esistenza vacua e priva di senso e valore.
Provo a fare un'ulteriore considerazione: quando l'autore diceva che il Principe, se
faceva attenzione, in ogni momento poteva avvertire il lento sgretolarsi della personalità,
è possibile che ciò non fosse solo un espediente narrativo. In effetti, come ho già detto,
il lettore che fa attenzione a questi particolari coglie in tutto il libro quello stesso
esatto sgretolarsi, che accelera quando la vita esce a grosse ondate dal Principe, e si
ferma alla sua morte. L'epilogo di questa situazione è il fatto che neanche più la cappella
di casa Salina sia un luogo al di sopra di ogni sospetto, che il nome stesso di Salina,
in mano alle tre sorelle, sia scaduto.
Infine, quanto detto avviene in favore del trionfo della logica del borghese, dell'imprenditore,
del capitalista, del denaro insomma: non c'è più posto per gli ideali che rendono nobile
un casato, ma solo per quelli che lo rendono opulento.